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Le parole per dire, le parole per rispondere

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Come posso aiutare mia figlia? Quali parole usare? Ma è giusto dirle questa cosa? Ci troviamo a dover spiegare qualcosa mai vissuto prima, che disorienta anche gli adulti perché incomprensibile e confuso anche alla nostra mente. 

 

 

Tante sono le domande che i bambini pongono agli adulti, a cui spesso non si sa come rispondere; mancano le parole giuste, adatte per

Nella mia esperienza di psicoterapeuta e di coordinatrice di servizi all’ infanzia spesso mi sono confrontata con la questione “Come posso aiutare mia figlia? Quali parole usare? Ma è giusto dirle questa cosa? e questi interrogativi sono ancor più evidenti in questo momento storico in cui ci troviamo a dover spiegare qualcosa mai vissuto prima, che disorienta anche gli adulti perché incomprensibile e confuso anche alla nostra mente.

E poi ci sono i bambini con le loro richieste e non solo quello che noi adulti pensiamo sia importante dire. La figura genitoriale è il primo interlocutore dei bambini; madre e padre diventano pilastri che contengono vissuti di smarrimento, ma anche di curiosità e di scoperta.

Lasciamoci guidare dal protagonista del libro “L’Abbraccio” di David Grossman.

Ben, un giorno, al tramonto durante una passeggiata con la mamma, si lascia travolgere da domande sulla propria e altrui esistenza trovando conforto, ma anche un pizzico di angoscia nelle risposte materne. E la madre come risponderà? Cosa proverà dinanzi alle incalzanti domande del suo bimbo piccino?

“Ma perchè?” chiese Ben fermandosi di colpo “perchè non c’è nessuno al mondo come me?”

“Perchè ognuno di noi è unico e speciale” disse la mamma ridendo e accovacciandosi a terra.

“Ma io non voglio che al mondo ci sia soltanto uno come me” protestò Ben.

“Perchè no?” si stupì la mamma, “è una cosa bellissima che tu sia unico e speciale!”

“Perchè così sono solo!” si lamentò Ben

 

Verso i tre anni quando il sistema cerebrale si completa, il bambino interroga le figure adulte sui grandi temi dell’esistenza. Mossi dalla curiosità di sapere, iniziano a confrontarsi con la vita, l’amore, la morte, chiedono il perché di questo e di quello nell’arduo tentativo di avvicinarsi sempre più alla realtà circostante per comprenderla e dar significato a quanto emotivamente sentono accadere intorno a sè; con la crescita poi, gli interrogativi dall’esterno di spostano all’interno, a sé stessi, proprio come fa Ben.

Anche tu mamma, sei unica, non c’è nessuno al mondo uguale a te?”.

“No, non c’è”, risponde la mamma.

I temi che lo assalgono hanno a che fare con la solitudine, come se essere unico significasse essere solo e allora gli altri che ruolo hanno? Per non essere soli dobbiamo essere tutti uguali?La madre decide di rispondere in modo fermo, sincero e onesto… eppur Ben non si tranquillizza, anzi incalza con gli interrogativi.

“Esisti solo tu e dunque un giorno non esisterai più?

E pure le formiche, lo sa quella formichina che non c’è nessun altra al mondo come lei?

Questo non lo posso sapere, dice la mamma!”

 

Già… ad alcune domande non sempre c’è una risposta e ammettere a un figlio che non sempre è possibile avere risposta è la più grande ammissione di verità, quella che permette di uscire dal vortice dell’onnipotenza in cui come adulti ci poniamo e in cui forse pensiamo che sia più giusto stare nell’idea di fornire un’ illusoria protezione che i bambini, magari, neanche ci chiedono.

La madre di Ben, ammettendo di non sapere, decide di non dare una risposta concreta e tangibile; non maschera, non illude, non inganna, ma questo non vuol dire che non risponda al figlio. Ammettere di non sapere può aprire ad ulteriori interrogativi, spingere Ben a cercare la sua risposta, a incuriosirsi e andare oltre. Non viene meno all’essere madre, ma sostiene e si prende cura del figlio accogliendo il suo interrogativo, non negandolo o sminuendolo, ma interloquendo in modo da dare dignità e valore ai suoi dubbi. Il punto non è il contenuto della risposta, che certamente ha la sua importanza perché riconnette l’interrogativo filosofico con il mondo e con parti di sé, ma soprattutto sostenere un rapporto fatto di domande, dubbi, curiosità, ma anche paure e incertezze.

“Allora di ogni persona ce n’è solo una al mondo?” Domandò Ben

“Si ce n’ è solo una” disse la mamma

“E perciò sono tutti soli?”

Che domanda difficile pone Ben e quanta paura in quella possibile solitudine, ma la mamma in modo chiaro e semplice prova a dare senso alle sue parole ricorrendo alla relazione con gli altri.

“Sono un po’ soli, ma sono anche un po’ insieme. Sono sia l’ uno sia l’ altro”

“Ma com’ è possibile?”

“Ecco prendi te per esempio. Tu sei unico spiegò la mamma “e anch’io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola”

 

L’ abbraccio è il rapporto con gli altri; se ci pensiamo unici, ci pensiamo soli, proprio come fa Ben, ma se ci pensiamo abbracciati siamo in relazione a qualcuno che sostiene la nostra parte emotiva.

Gli interrogativi sono sempre forme di apprendimento; tra processo di apprendimento e sviluppo dell’identità c’è una connessione molto stretta che passa inevitabilmente attraverso la relazione educativa.

Freud scriveva “non si può essere educatore se non si è capaci di partecipare alla vita psichica dell’infanzia e se non comprendiamo i bambini – noi adulti – è una dimostrazione del fatto che non riusciamo più a comprendere la nostra infanzia personale” (1913 -1914, Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, in Totem e Tabù e altri scritti, Bollati, Boringhieri)

Se le domande dei piccoli cadono nel vuoto si rischia di banalizzare la loro curiosità, la loro sete di conoscenza, riflettendo un’immagine di inadeguatezza, con il rischio di restituire disapprovazione e inibizione e con il tempo il bambino smetterà di chiedere …

“Allora abbracciami” disse Ben stringendosi a lei

“Adesso non sono solo”, pensò mentre l’abbracciava. “Adesso non sono solo. Adesso non sono solo.”

“Vedi” gli sussurrò la mamma, “proprio per questo hanno inventato l’abbraccio”

 

Un abbraccio caldo, rispettoso e pieno di cura.

 

Paola Izzo, Psicoterapeuta e coordinatrice di Asili Nidi nel Lazio

David Grossman – L’abbraccio

 

Le relazioni in famiglia al tempo del coronavirus – il punto di vista dei bambini

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In questo momento di sospensione dalle nostre abitudini e dai nostri legami, giocare è un modo per mettere in scena le relazioni che mancano e affrontare paure. Questa è la chiave dei bambini.

il gioco durante il coronavirus

Mosse dal desiderio di continuare a occuparci delle questioni delle famiglie proponiamo alcune riflessioni sulla quotidianità al tempo della pandemia; una situazione nuova, inaspettata e soprattutto dai contorni indefiniti che, se non pensata, rischia di cristallizzarsi come un tempo vuoto e angosciante.

In questo momento di sospensione di tutte le attività didattiche e non solo, tutte le famiglie sono alle prese come una nuova ri – organizzazione.

Per nessuno è facile questa fase di sospensione dalle nostre abitudini e dai nostri legami affettivi, ancor di più per i genitori con bambini piccolissimi a cui è difficile spiegare il perché non sia possibile andare all’asilo, vedere le proprie insegnanti, i propri amici e i propri nonni.

Nonostante le mancanze che ci troviamo a vivere, è utile chiedersi cosa si può fare nonostante tutto, nell’assenza qual è la presenza che possiamo preservare? Cosa ci sarebbe piaciuto fare quando non avevamo tutto il tempo a disposizione presi dalla frenesia quotidiana?

La foto che apre l’articolo è di un bambino che gioca con i suoi amichetti, “4 amici al bar”. Nel gioco, per i bambini, ma anche per gli adulti, la realtà si trasforma, diventa immaginaria.

Quel bambino mette in scena relazioni, proprio quelle che non possiamo vivere, ma che continuiamo a desiderare. E se ci gioco, con gli amici, non sono solo.

Accorgersi del gioco dei bambini ci aiuta a capire come stanno e, forse, stiamo vivendo in famiglia. Questa suggestione risponde secondo noi alla domanda: “Come dico a mio figlio cosa accade e cos’è il coronavirus?” Crediamo che non serva la realtà, l’iper-realismo, ma stare nel gioco, stare al gioco.

Un gioco è l’espressione del mondo interno e relazionale del bambino; dunque può essere fatto di scambi, ma anche di aggressività. E’ comunque pieno di simboli.

La presenza da preservare è il rapporto. Con i genitori, con gli amichetti.

Una mamma ci racconta che sua figlia, di 5 anni vuole leggere sempre un libro dal titolo “le cose che passano”. “Sono tante le cose che passano, si trasformano e volano.” Esordisce il libro. Gli uccelli, il sonno, una ferita, i pensieri neri, la pioggia, la polvere che va e viene. “Tutto prima o poi passa, ma c’è una cosa che non se ne andrà mai.” E termina con la foto dell’abbraccio tra madre e figlio o per estensione di coloro che si vogliono bene.

La mamma dice: “vuole leggerlo tutte le sere”.

E se lo sfogliaste, lo leggereste anche voi.

Ve lo consigliamo.

Con questo articolo vorremmo istituire una sezione “Relazioni in famiglia” con riflessioni, curiosità e vostri commenti.

 

Sitografia e suggerimenti di siti per bambini e famiglie:

Fare ordine e programmi al tempo del Coronavirus

 

Francesca Magrini, Studio Ma.Cri., psicoterapeuta, f.magrini@macripsicologi.it

Paola Izzo, psicoterapeuta, coordinatrice di asili nido nel Lazio, paolaizzo1@virgilio.it

Insieme ci occupiamo di consulenza e incontri di gruppo con genitori di bambini di asili nido sui temi della genitorialità.